estratto da "Il mio boia" - acquistabile tramite PayPal - pagg 40
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E’ quando la porta è chiusa che iniziano i rumori. Lontano, nel sonno, sento la porta che si apre. Poi qualcuno la richiude, adagio. Cammina verso di me, attento a non far sentire i suoi passi sul pavimento. Si siede per terra, appoggiato al muro. Da lì mi guarda. Sento l’affanno leggero del suo respiro. Nient'altro. Il rumore della notte è attutito dai muri. Dentro alle mie orecchie, altri suoni, solo miei. L’ombra si avvicina, se tengo gli occhi chiusi. Mi sembra di sentire qualcuno che si corica accanto a me. I miei occhi si aprono, ciechi, per un lungo istante. Ma è inutile, non riesco a vederlo, dovrei girarmi e so che se mi muovo svanirà. Penso che solo vedendolo potrei capire, ma questo non mi è dato. Rimango così, fino a quando la luce del giorno invade la stanza.

(…)

In questa luce fredda, in questo corpo lucido di sudore e lacrime che mi appiccicano l’anima alle ossa. E le trattengo, mi piego in due, afferro con le mani le mie ginocchia perché è così che so cullarmi.

Dondola, dondola, nella solitudine e nell'abbandono...

Pigia pigia su e giù, piega il ginocchio, alza il piede e poi pigia così, ancora un po', fino a quando tutto il succo sarà uscito dal frutto. Rosso, come sangue di ciliegia. Piccolo cuore spremuto dissanguato abbandonato a seccarsi sul pavimento di pietra. Inventato per parlare del sole affinché possa uccidere i germogli e tutto torni ad essere un gioco nient'altro che un gioco passatempo crudele per annoiate divinità. E sangue. Versato. Dall'inizio alla fine. Pigia. Pigia su e giù, fino a riempire il bicchiere.